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NUOVA SVOLTA IN TEMA DI RESPONSABILITA’ MEDICA


Il Tribunale di Milano, Sez. V, con la sentenza 18 novembre 2014 n. 13574 (Est. Dott. Andrea Manlio Borrelli) ha riaffermato il principio per cui la responsabilità medica va ricondotta nell’ambito della responsabilità contrattuale, quale responsabilità da contatto sociale.

Tale inquadramento, che era stato recentemente messo in discussione da altro Giudice del medesimo Tribunale di Milano (sentenza Sez. I, 17.7.2014, Dott. Patrizio Gattari), torna ad alleggerire l’onere della prova a carico del paziente danneggiato da un errore medico e gli consente di beneficiare di un termine per agire più ampio: dieci anni anziché cinque.

La pronuncia in esame riprende l’orientamento giurisprudenziale dominante e consolidato della Corte di Cassazione che da decenni, a partire dalla storica sentenza n. 589 del 1999, ha stabilito che la responsabilità della struttura sanitaria e del medico è una responsabilità di tipo contrattuale, con tutte le fondamentali conseguenze che ne discendono soprattutto, come si è accennato, in termini di onere della prova e prescrizione dell’azione (vedi anche Cass. SSUU n. 577/2008, Cass. 19 febbraio 2013 n. 4030, Cass. 17 aprile 2014 n. 8940).

Ne deriva che un paziente che ritiene di essere stato vittima di un caso di malasanità / danneggiato da un errore medico può tutelare i propri diritti sapendo di poter beneficiare di un onere probatorio favorevole il quale prevede che egli alleghi il solo inadempimento imputabile al sanitario astrattamente idoneo a provocare il danno.

Appaiono quindi superati i timori che si erano diffusi a seguito della pronuncia del Tribunale di Milano, sez. I, del luglio scorso che aveva fortemente circoscritto i casi di configurabilità dell’obbligazione risarcitoria del medico (che, secondo tale orientamento - scaturito da un’interpretazione più rigorosa della legge n. 189/2012, la c.d. Legge Balduzzi - sarebbe scattata soltanto in presenza di tutti gli elementi costitutivi dell’illecito aquiliano da provarsi a carico del danneggiato e con termine di prescrizione quinquennale), restituendo una più ampia tutela al paziente danneggiato da un’ipotesi di malpractice. 


Trib. Milano, sez. V civ., sentenza 18 novembre 2014 n. 13574 (Est. Andrea M.

Borrelli)

RAGIONI DELLA DECISIONE

Il Signor M. I. chiede la condanna dei tre convenuti, in

solido fra loro, al pagamento di € 100.000,00 (oltre interessi e rivalutazione)

per i danni patrimoniali e non patrimoniali, inclusi quelli biologici, morali ed

esistenziali, inizialmente (nell'atto introduttivo del presente giudizio)

quantificati nel complessivo importo di € 330.000,00, che assume di aver

patito in conseguenza di ritardo diagnostico.

L'attore narra di essersi presentato, il 3.10.2002, alle ore 8:43, al Pronto

Soccorso dell'Ospedale di *, accusando fortissimi dolori all'occhio sinistro e

disturbi visivi. Segnala di aver dichiarato di fare uso di lenti a contatto. Il

medico di turno aveva riscontrato iperemia congiuntivale e chiesto che I.

venisse sottoposto a visita di specialista oculista. Questi, che in un secondo

momento è risultato essere il convenuto Dottor C.V., esaminato l'occhio

dell'attore in modo sbrigativo, aveva dimesso il paziente alle ore 9:20 con

diagnosi di "infiltrato corneale centrale" e prescritto applicazioni serali di

collirio e applicazioni di pomata oftalmica …, nonché nuova visita di controllo

dopo quattro giorni. L'attore tuttavia, poiché continuava "ad accusare dolori

lancinanti all'occhio sinistro" e si era accorto di non vedere (anche perché

l'occhio era coperto da pus), era tornato al Pronto Soccorso dell'ospedale di

*-nelle prime ore del 4.10.2002. La Dottoressa M. P. F., medico di turno, preso

atto della visita specialistica già effettuata e nonostante il dolore lamentato dal

paziente, il rossore diffuso dell'occhio, la pupilla bianca, la suppurazione in

atto, aveva, dopo una visita di sei minuti, steso referto di "iperemia

congiuntivale. Residui di pomata oft. Probabile infiltrato corneale", così

mostrando di avere scambiato il materiale purulento per residui di pomata, e,

alle ore 3:57 aveva dimesso l'attore invitandolo s "seguire i consigli dello

specialista oculista". Poiché però, nonostante l'assunzione degli antidolorifici

prescritti al bisogno, il dolore non era diminuito, M. I., lo stesso 4.10.2002. si

era recato - anche questa volta, come le precedenti, accompagnato dal padre -

presso l'Ospedale Fatebenefratelli e Oftalmico di Milano", dove il medico di

turno, resosi conto della gravità della condizione dell'attore, ne aveva disposto

il ricovero d'urgenza, con diagnosi di "ampio ascesso corneale all'occhio

sinistro". Sostiene l'attore che i due sanitari dell'Ospedale di *, convenuti

insieme all'Azienda Ospedaliera, avrebbero errato la diagnosi iniziale e la cura,

facendo perdere al paziente "quasi 48 ore preziose per l'avvio della corretta

terapia", con la conseguenza che neppure le appropriate cure praticategli

presso il Fatebenefratelli avevano potuto impedire il verificarsi di "gravi e

permanenti lesioni corneali". Affermato che, alla stabilizzazione del quadro

clinico, il suo occhio sinistro aveva un visus residuo di soli 3/10 e un leucoma

corneale con assottigliamento dello spessore corneale maggiore nella porzione

apicale; asserito che l'imperizia, l'imprudenza e la negligenza dei sanitari di

Desio aveva comportato l'evolvere della patologia iniziale (infiltrato corneale)

in ascesso, causandogli danno biologico valutato (da perito consultato dall'I.)

nella misura del 13-14%, invalidità temporanea totale per otto giorni di ricovero

presso il Fatebenefratelli, e i.t. parziale successiva, oltre a danno patrimoniale,

pari alle spese sostenute per visite specialistiche, farmaci e occhiali,

quantificabile in € 1798,00, oltre a menomazione della capacità lavorativa

futura (all'epoca l'attore, diciannovenne, era ancora studente) e "danno

estetico", psichico e alla vita di relazione. I tre convenuti si sono costituiti nel

presente giudizio in data 30.10.2009, con il ministero di unico difensore, ma

depositando due distinti fascicoli e comparse di risposta. Contestano la

responsabilità per i danni (da inadempimento contrattuale) loro attribuita

dall'attore, ma anche la sussistenza dei pregiudizi allegati da I., e chiedono

respingersi le domande formulate dall'attore. M.P.F. e l'Azienda Ospedaliera di

* segnalano inoltre di avere, nel dicembre 2008, a mero fine transattivo,

formulato offerta di pagamento della somma di € 10.000,00.

*

Nel corso del presente giudizio è stata disposta ed effettuata CTU affidata

all'esperto in medicina legale … e all'oftalmologo Dott. …

Questi hanno inteso premettere alla risposta al quesito loro assegnato che "la

cheratite microbica rappresenta un urgenza-emergenza oculistica in quanto

possono evolvere verso una perforazione con endoftalmite. La cicatrice corneale

è spesso molto invalidante. L'uso delle lenti a contatto rappresenta il più

frequente fattore di rischio di un'infezione batterica. L'uso non corretto delle

lenti, la scarsa igiene sono spesso alla base della cheratite. La lente a contatto

determina meccanicamente una sofferenza dell'epitelio corneale consentendo ai

germi di attraversare la barriera epiteliale e penetrare nello stroma corneale. I

germi più tipicamente coinvolti sono i Gram+, stafilococchi, e Gram-, lo

Pseudomonas aeruginosa. Quest'ultimo rappresenta la causa più frequente di

cheratite associata a lenti a contatto con quadri clinici a rapida progressione per

la suppurazione marcata e necrosi tessutale." Fatta questa premessa i CTU

escludono che siano ravvisabili elementi di colpa professionale nella condotta

del Dr V., medico oculista che visitò I. il 3.10.2002. In quella occasione,

scrivono gli Ausiliari del giudice sulla base della documentazione clinica agli

atti, la patologia corneale relativa all'occhio sinistro "era ancora agli esordi: era

visibile solo un infiltrato corneale centrale". Cosicché i consulenti ritengono

"essere stata correttamente prescritta una terapia topica con cicloplegico e

Pensulvit (Tetraciclina Sulfametiltiazolo) pomata 4 volte al dì". Osservano i

CTU che, per le caratteristiche farmacologiche della pomata consigliata, e in

particolare della Tetraciclina, farmaco antibatterico inibitore della sintesi

proteica, efficace contro i batteri Gram-positivi, Gram-negativi anaerobi e

microrganismi come rickettsie, clamide, micoplasmi, brucelle, escherichia coli,

la prescrizione era corretta in relazione al quadro clinico riscontrato. Nei propri

scritti conclusivi parte attrice contesta la valutazione dei CTU assumendo che il

convenuto V. avrebbe errato, per negligenza, nell'omettere di far effettuare

un'analisi colturale, necessaria al fine di individuare con esattezza l'agente

patogeno responsabile dell'infezione. Parimenti avrebbe errato nel prescrivere

una pomata generica ad ampio spettro e nel prescrivere visita di controllo a

distanza di ben quattro giorni. Osserva il giudice che la pomata Pensulvit è

indicata nel trattamento topico delle infezioni oculari esterne generate da

microrganismi sensibili alla Tetraciclina ed al Sulfametiltiazolo. Essa deve la

sua efficacia biologica e il suo ampio spettro d'azione alla presenza di due

principi attivi dotati di un'intensa attività antibiotica. Più precisamente la

Tetraciclina è un principio attivo estratto a partire da ceppi di Streptomyces,

dotato di attività batteriostatica o battericida dose-dipendente particolarmente

efficace nei confronti dei batteri Gram negativi. Penetrata nell'ambiente

cellulare la Tetraciclina è in grado di legare la subunità ribosomiale 30S,

inibendo l'allungamento della catena peptidica e compromettendo quindi le

capacità biosintetiche del battere, inducendone la morte. Il Sulfametiltiazolo

invece è una molecola dotata di attività antimetaboliche che, in quanto

sulfamidico, può competere con l'acido paraminobenzoico nella sintesi

dell'acido folico e inibire la sintesi di un mediatore particolarmente importante

nell'economia del microrganismo. Tale attività risulta efficace nei confronti dei

batteri Gram positivi, Gram negativi e nei confronti della Chlamydia

Trachomatis. Pensulvit è indicato anche nella profilassi pre e

post-operatoria e come coadiuvante terapeutico in corso di tracoma. Questa è

una malattia infettiva certamente non meno grave e preoccupante della

cheratite diagnosticata all'I., che affligge quasi sempre entrambi gli occhi,

causata da Chlamydia trachomatis, batterio gram-negativo che si localizza a

livello della congiuntiva determinando un processo infiammatorio a evoluzione

cronica e un'infezione molto contagiosa che può condurre alla cecità

permanente. La provata efficacia dei due principi attivi di Pensulvit rende

infondata la censura mossa dall'attore alla scelta di quel farmaco. Parimenti

infondato appare il rimprovero relativo alla omessa effettuazione di analisi

colturale, atteso che la patologia era solo all'esordio quando I. venne visitato dal

V. e non risulta letteratura che la prescriva fin da tale fase. Inoltre non può

tenersi conto del rilievo in ordine alla insufficienza della posologia prescritta

dal Dr V., giacché esso è stato sollevato dall'attore per la prima volta in

comparsa conclusionale: dunque tardivamente. Appare invece fondato il rilievo

relativo all'eccessiva distanza temporale indicata per la successiva visita di

controllo. Considerato infatti che i CTU affermano che il quadro clinico delle

cheratiti microbiche associate all'uso di lenti a contatto è a rapida progressione,

e perciò esse rappresentano un'urgenza-emergenza oculistica, potendo evolvere

in perforazione con endoftalmite; considerato che anche nelle difese di parte

convenuta si legge che trattasi di patologia soggetta a "variazioni importanti in

un breve lasso di tempo", ritiene questo giudice che la prescrizione di visita di

controllo a distanza di ben quattro giorni abbia costituito comportamento

imprudente del sanitario. Del resto, i medesimi consulenti, comparsi per

rendere chiarimenti nell'udienza 22.12.2011, hanno dichiarato che le

linee-guida accreditate consiglierebbero - per la corretta gestione di una

cheratite batterica - l'attesa di circa 48 ore prima di modificare gli

atteggiamenti clinici e terapeutici in caso di inefficacia delle cure inizialmente

prescritte, e non già di 96 ore, pari all'attesa indicata dal Dr V. nella fattispecie

all'esame di questo giudice. Sotto il profilo soggettivo appare dunque sussistere

l'inesatto adempimento della prestazione ascritto al convenuto V. (sulla natura

contrattuale della responsabilità si dirà infra). Esso, tuttavia, ad avviso di

questo giudice non può dare luogo a risarcimento poiché, sul piano causale, non

ha spiegato effetto alcuno. L'attore I., infatti, dopo essere stato dimesso dallo

specialista oculista alle ore 9:20 del 3.10.2002, si presentò nuovamente al

Pronto Soccorso dell'Azienda convenuta alle ore 3:51 del giorno successivo: vale

a dire meno di diciotto ore dopo la prima visita. Dunque egli - fortunatamente

-non tenne in conto l'indicazione ricevuta e, spinto dall'aggravarsi del proprio

male, tempestivamente tornò a rivolgersi alle cure del P.S. dell'Ospedale di *.

Per la considerazione che precede (carenza di nesso causale fra la negligenza e il

danno) la domanda proposta nei confronti del Dr V. deve essere respinta. Ma

l'inesatto adempimento di cui sopra appare a questo giudice giusto motivo (ex

art. 92 c.p.c. nel testo applicabile ratione temporis al presente giudizio) di

integrale compensazione delle spese relative al rapporto processuale

I.-V.

* L'attore deve invece essere integralmente risarcito dai convenuti Dottoressa

…. e Azienda Ospedaliera di * del danno cagionatogli dall'inesatto - per

negligenza, imprudenza o forse anche imperizia -adempimento della sanitaria,

del quale l'Azienda Ospedaliera deve rispondere ai sensi dell'art. 1228 c.c. [Sulla

natura contrattuale della responsabilità sanitaria] Prima di approfondire

l'esame delle censure che possono muoversi all'operato della Dott.ssa F., appare

necessario prendere posizione in ordine a orientamento recentemente espresso

da Giudice di altra Sezione (I Civile) di questo Tribunale (sent. 17.7.2014), così

massimato: <<Il tenore letterale dell’art. 3 comma 1 della legge Balduzzi e

l’intenzione del legislatore conducono a ritenere che la responsabilità del

medico (e quella degli altri esercenti professioni sanitarie) per condotte che non

costituiscono inadempimento di un contratto d’opera (diverso dal contratto

concluso con la struttura) venga ricondotta dal legislatore del 2012 alla

responsabilità da fatto illecito ex art. 2043 c.c. e che, dunque, l’obbligazione

risarcitoria del medico possa scaturire solo in presenza di tutti gli elementi

costitutivi dell’illecito aquiliano (che il danneggiato ha l’onere di provare)… Se

dunque il paziente/danneggiato agisce in giudizio nei confronti del solo medico

con il quale è venuto in “contatto” presso una struttura sanitaria, senza allegare

la conclusione di un contratto con il convenuto, la responsabilità risarcitoria del

medico va affermata soltanto in presenza degli elementi costitutivi dell’illecito

ex art. 2043 c.c. che l’attore ha l’onere di provare; se nel caso suddetto oltre al

medico è convenuta dall’attore anche la struttura sanitaria presso la quale

l’autore materiale del fatto illecito ha operato, la disciplina delle responsabilità

andrà distinta (quella ex art. 2043 c.c. per il medico e quella ex art. 1218 c.c. per

la struttura), con conseguente diverso atteggiarsi dell’onere probatorio e

diverso termine di prescrizione del diritto al risarcimento; senza trascurare

tuttavia che, essendo unico il “fatto dannoso” (seppur distinti i criteri di

imputazione della responsabilità), qualora le domande risultino fondate nei

confronti di entrambi i convenuti, essi saranno tenuti in solido al risarcimento

del danno a norma dell’art. 2055 c.c.>>. La norma in questione, l'art. 3 co. I del

D.L. 158/2012 come sostituito dalla legge di conversione n. 189/2012, che,

secondo l'interpretazione proposta dal Giudice della Prima Sezione Civile del

Tribunale di Milano con la sentenza in data 17.7.2014, impedirebbe ora di

qualificare come contrattuale la responsabilità del medico ospedaliero, e,

secondo precedente pronunzia del Tribunale di Torino (in data 26.2.2013),

avrebbe <<gettato alle ortiche>> la costruzione giurisprudenziale del contatto

sociale come fonte di obblighi e responsabilità di natura contrattuale, così

recita: <<L'esercente la professione sanitaria che nello svolgimento della

propria attività si attiene a linee guida e buone pratiche accreditate dalla

comunità scientifica non risponde penalmente per colpa lieve. In tali casi resta

comunque fermo l'obbligo di cui all'articolo 2043 del codice civile. Il giudice,

anche nella determinazione del risarcimento del danno, tiene debitamente

conto della condotta di cui al primo periodo>> (enfatizzazioni di questo

estensore). Il testo originario dell'art. 3 co. I del decreto-legge Balduzzi (n.

158/2012, elaborato in sede governativa), prima di essere come sopra sostituito

dalla legge di conversione (n. 189/2012, elaborata invece in sede parlamentare),

era il seguente: <<Fermo restando il disposto dell'articolo 2236 del codice

civile, nell'accertamento della colpa lieve nell'attività dell'esercente le

professioni sanitarie il giudice, ai sensi dell'articolo 1176 del codice civile, tiene

conto in particolare dell'osservanza, nel caso concreto, delle linee guida e delle

buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica nazionale e

internazionale>>.

Proprio la differente formulazione delle due norme (quella originaria facente

riferimento alla disciplina del contratto d'opera intellettuale e

dell'adempimento delle obbligazioni, e quella della legge di conversione facente

invece riferimento alla norma che afferma la responsabilità extracontrattuale di

chiunque cagioni ad altri, con dolo o con colpa, un danno ingiusto), unitamente

alla opinione che <<L'interprete non pare autorizzato a ritenere che il

legislatore abbia ignorato il senso del richiamo alla norma cardine della

responsabilità da fatto illecito, nel momento in cui si è premurato di precisare

che, anche qualora l'esercente una professione sanitaria “non risponde

penalmente per colpa lieve” (del delitto di lesioni colpose o di omicidio colposo)

essendosi attenuto alle linee guida e alle buone pratiche accreditate dalla

comunità scientifica, “in tali casi resta comunque fermo l'obbligo di cui all'art.

2043 del codice civile">> hanno indotto il Giudice della Sezione I Civile del

Tribunale di Milano (e, prima di lui, oltre al cit. Tribunale di Torino, anche il

Tribunale di Varese: sent. 26.11.2012 n. 1406) a porsi in contrasto con

l'indirizzo giurisprudenziale della Suprema Corte di Cassazione, consolidatosi

nel tempo e ribadito, anche dopo l'entrata in vigore della legge di conversione

del decreto Balduzzi, secondo il quale la responsabilità professionale del medico

rientra nel genus della responsabilità contrattuale (Cass. Sez. VI Civ. 17.4.2014

n. 8940; Cass. 19.2.2013 n. 4029).

In particolare, con l'ordinanza 17.4.2014 n. 8940, la Corte di Cassazione aveva

affermato che <<L'art. 3, comma 1, del d.l. 13 settembre 2012, n. 158, come

modificato dalla legge di conversione 8 novembre 2012, n. 189, … non esprime

alcuna opzione da parte del legislatore per la configurazione della

responsabilità civile del sanitario come responsabilità necessariamente

extracontrattuale, ma intende solo escludere, in tale ambito, l'irrilevanza della

colpa lieve>>.

A tale orientamento del Giudice della Nomofilachia la pronuncia di Trib.

Milano Sez. I Civ. obietta, in sostanza, che l'interprete deve presumere il

Legislatore consapevole e dunque, con riguardo alla norma in esame, ritenere

che volutamente abbia richiamato l'art. 2043 c.c., al fine di ricondurre, una

volta per tutte, la disciplina della responsabilità del medico ospedaliero nel

quadro di quella extracontrattuale di cui all'art. 2043 c.c., intenzionalmente

soppiantando l'elaborazione giurisprudenziale (di merito e di legittimità)

affermatasi nel precedente quindicennio circa la responsabilità da contatto

sociale.

La tesi sopra riassunta non è condivisa da questo giudice (della Sezione V Civile

del Tribunale di Milano).

L'orientamento interpretativo della Sezione I Civile del Tribunale di Milano si

fonda - come rilevato - sul postulato che il Legislatore agisca sempre in modo

consapevole e razionale. Conseguentemente, secondo quel Giudice, deve

escludersi che l'inciso contenuto nell'art. 3 co. I del D.L. Balduzzi, come

sostituito dalla legge di conversione n. 189/2012, possa essere ritenuto frutto di

una mera "svista". Detto orientamento, tuttavia, non può fare a meno di

attribuire al medesimo Legislatore altra, non meno grave, svista: quella

consistente nell'aver del tutto dimenticato di distinguere la disciplina

applicabile ai casi in cui il paziente si sia rivolto direttamente e personalmente a

un medico di sua fiducia, per i quali, come correttamente afferma Trib. Milano

Sez. I, 17.7.2014 cit., il regime della responsabilità per i danni causati

nell'esercizio dell'attività professionale medica rimane quello dettato dall'art.

1218 c.c.1, dalla disciplina da applicarsi invece ai casi in cui il paziente si sia

rivolto alla struttura sanitaria (ospedale, clinica, ambulatorio) e non al medico,

per i quali, in conseguenza dell'entrata in vigore della norma in questione (L.

189/2012 cit.), <<il criterio attributivo della responsabilità civile al medico (e

agli altri esercenti una professione sanitaria) va individuato in quello della

responsabilità da fatto illecito ex art. 2043 c.c.>> (Trib. Milano Sez. I cit.).

L'interpretazione additiva proposta dal Giudice della Prima Sezione del

Tribunale di Milano, risultando sostanzialmente manipolativa della norma in

esame (che in realtà tace sulle fattispecie di responsabilità contrattuale e non

menziona la degenza ospedaliera o altro rapporto con struttura sanitaria quale

proprio presupposto di fatto), pare contrastare anch'essa con la presunzione di

consapevolezza di cui sopra e si presta, perciò, alla medesima critica che essa

rivolge all'interpretazione fatta propria da Cass. n. 8940/2014 cit., che limita la

portata della norma in parola alla riaffermazione del principio che, nel giudizio

risarcitorio civile, diversamente che in quello penale, et levissima culpa venit.

Introducendo la distinzione di cui sopra (non presente nel dato normativo),

l'interpretazione che si tenta qui di confutare finisce col tenere in vita la

categoria delle fattispecie originate da contatto sociale (per differenziarne il

trattamento) proprio nel momento in cui ne afferma intervenuto il tramonto

definitivo. Alle considerazioni che precedono può aggiungersi che il primo

comma dell'art. 3 del D.L. Balduzzi come sostituito dalla legge di conversione si

riferisce, esplicitamente, ai (soli) casi di colpa lieve dell'esercente la professione

sanitaria che si sia attenuto a linee guida e buone pratiche accreditate dalla

comunità scientifica. L'ossequio alla lettera della nuova disposizione dovrebbe

comportare anche adeguata valorizzazione dell'incipit dell'inciso

immediatamente successivo alla proposizione che esclude la responsabilità

penale del sanitario in detti casi2, per effetto del quale deve ritenersi che esso si

riferisca soltanto - appunto - a "tali casi" (di colpa lieve del sanitario che abbia

extracontrattuale, escludendo l'applicabilità della disciplina di cui all'art. 1218 c.c.

e così cancellando lustri di

elaborazione giurisprudenziale, avrebbe certamente impiegato proposizione

univoca (come per es. "la responsabilità dell'esercente la professione sanitaria

per l'attività prestata quale dipendente o collaboratore di ospedali, cliniche e

ambulatori è disciplinata dall'art. 2043 del codice civile") anziché il breve inciso

in commento. Insomma, pur non essendo qui d'aiuto il noto brocardo ubi lex

voluit dixit, poiché il Legislatore, effettivamente, aliquid dixit, non può

comunque ritenersi - ad avviso di chi scrive - che la locuzione meramente

"eccettuativa" (così Trib. Brindisi cit.) di cui trattasi abbia inequivocabilmente reso

manifesta la volontà del Legislatore stesso di negare la configurabilità di

responsabilità contrattuale in capo al medico ospedaliero ets. Inoltre, ritenere

che l'esercente la professione sanitaria, ogni qual volta svolga la propria attività

all'interno di una struttura, sia tenuto, nei confronti del paziente, a rispettare

soltanto il precetto generale dell'art. 2043 c.c. (sintetizzabile nel comando di

non nuocere al prossimo: alterum non laedere), valido per la totalità dei

soggetti, anche non esercenti la professione sanitaria, e non debba invece

rispettare l'obbligo di diligenza professionale posto dall'art. 1176 co. II c.c.,

appare a questo giudice oltremodo riduttivo della funzione sociale

dell'esercente la professione sanitaria. Infine, se è vero che dall'opzione

interpretativa che esclude l'applicabilità della disciplina della responsabilità

contrattuale all'attività dell'esercente la professione sanitaria in ambito

ospedaliero discendono conseguenze sia in tema di riparto dell’onere di

allegazione e prova (che diverrebbe assai più gravoso per il danneggiato), sia in

ordine al termine di prescrizione del diritto al risarcimento del danno (che

risulterebbe dimezzato), e che tali conseguenze appaiono, al Giudice della

Prima Sez., coerenti con l'intento del Legislatore di contenere la spesa pubblica

e di arginare il dilagante fenomeno della “medicina difensiva" (che su detta

spesa incide), è altresì vero che quell'opzione comporterebbe l'inapplicabilità al

sanitario del limite alla responsabilità del prestatore d'opera posto dall'art.

2236 c.c. (in materia contrattuale)4, ciò che - ad avviso di chi scrive - darebbe

nuova linfa proprio a quell'atteggiamento "difensivo" che in realtà si vorrebbe

debellare. Dunque, neppure l'argomento della ratio legis appare poter

sostenere l'opzione interpretativa che sottrae l'attività del sanitario al regime

della responsabilità contrattuale. Non resta, perciò, che adeguarsi alla già

ricordata interpretazione

proposta da Cass. 17.4.2014 n. 8940, secondo cui la volontà del Legislatore

oggettivatasi nel dato normativo altro non è che quella di escludere la

responsabilità penale del sanitario (che abbia seguito le linee guida ecc.) in caso

di colpa lieve, tenendo però al contempo aperta la possibilità che - anche in caso

di assoluzione penale per levità della colpa - al danneggiato possa spettare un

risarcimento civilistico (secondo il brocardo: in lege aquilia et levissima culpa

venit). Per le considerazioni che precedono questo giudice ritiene di non

discostarsi dal proprio precedente orientamento (conforme all'insegnamento

della Cassazione e alla giurisprudenza della Sez. V civ. del Tribunale di Milano)

e di inquadrare la fattispecie oggetto di causa nell'ambito della disciplina della

responsabilità contrattuale. Si continua cioè a ritenere che sia l'obbligazione del

nosocomio nei confronti del paziente, sia quella del medico, ancorché non

fondate, talvolta l'una, talvolta l'altra, su una stipulazione negoziale di tipo

ordinario, ma su un mero contatto sociale, abbiano comunque natura

contrattuale, atteso che a detto contatto si ricollegano specifici obblighi di

comportamento di varia natura, diretti a garantire che siano tutelati gli interessi

(nella fattispecie quello preso in considerazione dall'art. 32 Cost.) che sono

emersi o sono esposti a pericolo in occasione del contatto stesso (Cass. Sez. 3,

19.4.2006 n. 9085). Con specifico riguardo alla responsabilità dell'ospedale può

osservarsi che, secondo Cass. Sez. 3, 14.6.2007 n. 13953, essa può derivare,

oltre che dall'inadempimento delle obbligazioni direttamente a suo carico (ai

sensi dell'art. 1218 c.c.), anche, in virtù dell'art. 1228 c.c., dall'inadempimento

della prestazione medico-professionale svolta direttamente dal sanitario, 0

dall'infermiere, quali suoi ausiliari necessari, pur in assenza di un rapporto di

lavoro subordinato, comunque sussistendo un collegamento tra la prestazione

da costoro effettuata e la sua organizzazione aziendale. Nello stesso senso si

sono espresse anche Cass. Sez. III, 3.2.2012 n.1620 e Cass. Sez. III, 13.4.2007 n.

8826. Nel caso in esame, secondo la valutazione dei CTU, sussistono elementi

di colpa a carico della Dottoressa M.P. F. dell'Ospedale di *, che visitò I: quando

questi si presentò per la seconda volta al Pronto Soccorso (meno di diciotto ore

dopo la prima visita). Gli Ausiliari del giudice ravvisano tali elementi nel "non

aver consigliato una nuova valutazione oculistica a fronte di una situazione

clinica sicuramente aggravata rispetto alla prima valutazione specialistica",

nell'aver ignorato la pericolosità di una cheratite microbica in rapido

peggioramento e che essa necessita di urgenti cure, nonché nel non avere

neppure interpellato telefonicamente lo specialista oftalmologo di turno. Ciò ha

comportato - secondo i CTU - un ritardo di almeno sedici ore nell'inizio delle

cure mirate rese necessarie dal rapido aggravamento del quadro clinico. Le

corrette cure, se diligentemente e tempestivamente prestate, avrebbero

determinato una riduzione dell'estensione e della perdita tessutale della

cicatrice corneale (relaz. CTU, pag. 5).

1 Consulenti stimano il danno iatrogeno patito da I. in conseguenza di tale

ritardo in termini di 3-5 punti percentuali dell'integrità psicofisica (danno

biologico permanente), ma escludono che l'attore abbia patito invalidità

temporanea o inabilità (lavorativa) specifica causate dall'operato della

convenuta. Essi inoltre affermano che le spese mediche documentate in atti

sarebbero state comunque necessarie, anche in assenza della colpa di cui si è

detto, alla quale dunque non sono legate da nesso eziologico.

Tale stima dei CTU è contestata dalla difesa di parte attrice, che valuta invece il

danno iatrogeno permanente nella misura del 15-20%; la difesa dell'attore

inoltre sostiene che alla Dottoressa F. sia da addossarsi anche la responsabilità

per invalidità temporanea, per danno estetico, "morale", "esistenziale" e

patrimoniale da diminuite chance di guadagno futuro. In proposito osserva il

giudice che, come chiarito dai CTU nell'udienza 22.12.2011, una cheratite

batterica del tipo di quella che colpì I., "anche se trattata correttamente fin dagli

esordi, ha sempre esiti invalidanti": produce opacità, perdita tessutale e danno

funzionale (cfr. verb. ud. cit.). Essendo pacifico che l'insorgenza della patologia

non sia in alcun modo imputabile ai convenuti, ma solo l'aggravamento di essa

determinato dal ritardo diagnostico, deve osservarsi che l'attore, dopo essere

stato visitato, alle ore 3.51 del 4.10.2002, dalla F. (cui era colposamente sfuggita

l'evoluzione ingravescente dell'infezione), si presentò ad altra visita, presso la 2^

Divisione di Oculistica dell'Ospedale …. e Oftalmico di Milano lo stesso giorno

4.10.2002, facendo ingresso in "reparto d'urgenza", dove, il successivo

5.10.2002, gli venne diagnosticato "ampio ascesso corneale con perdita di

sostanza centrale" in OS (cartella clinica doc. 3 att.).

Dunque il ritardo nell'inizio delle cure appropriate al caso, imputabile alla F.,

spiegò effetti solo per alcune ore. L'esiguità di tale ritardo, come illustrato dai

CTU, non priva il medesimo di efficacia causale in relazione alla menomazione

dell'integrità psico-fisica residuata a carico dell'I.. Ma certo impedisce che ai

convenuti possano essere imputate per intero le conseguenze, temporanee e

permanenti, della menomazione riportata dall'attore.

Ritiene perciò questo giudice che, se appare eccessivamente contenuta la stima

del danno biologico iatrogeno permanente compiuta dai CTU (3-5%), atteso che

anche i convenuti riconoscono, nei loro scritti difensivi, che la patologia in

questione è soggetta a "variazioni importanti in un breve lasso temporale", le

conseguenze del ritardo de quo non possono, ad avviso del giudicante, aver

avuto, sull'integrità psicofisica dell'attore, già precedentemente colpito dalla

cheratite microbica, incidenza superiore al 7%.

Così come non pare potersi stimare l'invalidità temporanea (conseguita al ritardo

diagnostico) superiore agli otto (8) giorni di ricovero affrontati dall'I., nella

residua parte essa apparendo costituire conseguenza ordinaria della patologia

pregressa dell'attore.

Con riguardo alla liquidazione di tali danni osserva questo giudice che, in

presenza dei criteri dettati dalla legge n. 57 del 2001 (poi trasfusi nell'art. 139 del

Codice delle Assicurazioni di cui al d.lgs. 7.9.2005, n. 209) per la quantificazione

del ristoro delle cd. microlesioni (tali essendo quelle fino al 9% della integrità

psico-fisica della persona) prodotte da incidenti stradali, appare doveroso

(nonostante il contrario pronunciamento, in questo processo non giuridicamente

vincolante, e neppure astrattamente convincente55, contenuto in C.Cost. 6.10.2014

n. 235) che il giudice, nell’esercizio della discrezionalità attribuitagli dall’art. 1226

c.c., si uniformi a essi anche al di fuori delle fattispecie cui la legge citata si

riferisce espressamente.

Ritiene il giudicante che l'interprete chiamato a procedere a liquidazione

equitativa di danno all'integrità psico-fisica, avendo avuto indicazione dal

Legislatore del 2001 circa il valore monetario da attribuire alla menomazione del

bene salute (la cui consistenza ontologica non muta a seconda della sua

eziologia, né della collocazione cronologica), non possa preferire parametri di

propria concezione a quelli legali.

L'esigenza di doveroso ossequio all'indicazione del Legislatore discende, a parere

di chi scrive, dall'insussistenza di ragioni che possano giustificare il ricorso a

diversi metri di valutazione dei danni alla persona a seconda delle circostanze in

cui essi si siano verificati: il bene salute, oggetto di espressa tutela costituzionale,

appare infatti meritare il medesimo risarcimento quale che sia l’eziologia che ne

abbia determinato la menomazione. E, in assenza di una fondata ragione di

diversificazione del trattamento risarcitorio, apparirebbe in contrasto con lo

spirito di una delle norme cardine del nostro ordinamento, costituita dall’art. 3

della Costituzione, il ricorso a diversi criteri valutativi per fattispecie tra loro

analoghe nella qualità delle conseguenze.

Le considerazioni che precedono appaiono trovare conferma nell'intervento

legislativo di cui al D.L. n. 158/2012 convertito con modificazioni nella L.

8.11.2012 n. 189, che, all'art. 3 comma III - non applicabile ratione temporis alla

presente fattispecie - stabilisce che, anche in caso di responsabilità sanitaria, il

danno biologico deve essere risarcito secondo i criteri di cui agli artt. 138 e 139

del Codice delle Assicurazioni.

Secondo dette Tabelle di legge, una menomazione di sette (7) punti percentuali

di invalidità permanente arrecata a persona che, al momento della cessazione

dell'invalidità temporanea, aveva - come I.6 - l'età di 19 anni, deve essere

risarcita con la somma di € 10.109,25.

Il risarcimento del danno biologico temporaneo, come sopra ritenuto (otto gg. di

i.t.a.), deve essere liquidato - giusta i predetti parametri legali - nell'importo di €

371,44.

Quanto ai pregiudizi "morali" (sofferenze fisiche e turbamento psichico) ed

"esistenziali" (alla vita di relazione), deve osservarsi che il loro ristoro è

ricompreso nella somma liquidata a titolo di risarcimento del danno biologico

(Cass. SU 11.11.2008 nn. 26972-5).

Né risulta dedotta alcuna concreta lesione di (altro 7 7) interesse preso in

considerazione da norma costituzionale, ciò che esclude la configurabilità di un

ulteriore danno non patrimoniale risarcibile.

Quanto al danno patrimoniale infine, nulla può riconoscersi in favore di M. I. a

titolo di risarcimento del danno patrimoniale da diminuite chance di guadagno,

atteso che è incontroverso che egli, dopo le vicende per cui è causa, si laureò in

economia e attualmente (da vari anni) lavora presso studio di commercialista.

Né può disporsi il rimborso di spese (mediche) passate o future, giacché - come

affermato dagli Ausiliari del giudice -esse sarebbero state comunque da

sostenersi da parte dell'attore in conseguenza della patologia autonomamente

contratta dall'attore, e non paiono essere state determinate dal ritardo

diagnostico.

Sugli importi come sopra riconosciuti per il risarcimento del danno biologico

iatrogeno debbono conteggiarsi in favore dell’attore anche gli interessi compensativi

del ritardo con cui egli ottiene il risarcimento del danno.

Tali interessi, in ossequio all’insegnamento di Cass. SU n. 1712/95, volto a evitare

ingiustificati arricchimenti, sono da calcolarsi in misura legale sul valore capitale del

danno “devalutato” all’epoca del suo verificarsi, e poi via via sul capitale incrementato

in misura proporzionale al decremento del potere di acquisto della moneta. In concreto,

con l’ausilio di strumento informatico, si è provveduto a rivalutare annualmente

l’importo delle menzionate voci di danno a partire dalla data della loro verificazione

(ottobre 2002), applicando l’indice ISTAT dell'epoca corrispondente, e, con identiche

cadenze, sono stati calcolati, e poi sommati fra loro, gli interessi al tasso legale su tali

importi annualmente crescenti.

Il risultato di tale operazione, eseguita mediante strumento informatico, è pari a

complessivi € 2.641,25 (€ 2547,52 + 93,73).

M.P. F. e l'Azienda Ospedaliera di * debbono pertanto essere condannati, in solido fra

loro, a pagare all'attore, a titolo di risarcimento del danno, la complessiva somma di €

13.121,91, oltre successivi interessi compensativi in misura legale da calcolarsi

sull'importo capitale attualizzato di € 10.480,69 dal 28.7.2014 (data del passaggio in

decisione della presente controversia) fino al saldo effettivo.

Le spese processuali relative al rapporto fra I. e i convenuti F. e Osp. * del presente

giudizio seguono la soccombenza (art. 91 c.p.c.) e vengono liquidate nella misura

indicata in dispositivo, giusta il D.M. 10.3.2014 n. 55, tenendo conto della fascia

tariffaria relativa all'importo della condanna, della qualità della difese, della quantità di

questioni trattate.

Analogamente gli oneri di CTU, atteso l'esito complessivo del processo, debbono

essere definitivamente posti a carico dei predetti convenuti F. e Az. Osp. *.

La presente sentenza è immediatamente esecutiva per legge (art. 282 c.p.c.).

P.Q.M.

Il Tribunale di Milano, in composizione monocratica, definitivamente

pronunciando, ogni altra domanda o eccezione assorbita, disattesa o respinta:

assolve C. V. dalla domanda di condanna al risarcimento dei danni nei suoi

confronti proposta da M. I., a spese compensate;

condanna M.P. F. e Azienda Ospedaliera di *, in solido fra loro, a pagare a M. I.

la somma di € 13.121,91, oltre successivi interessi compensativi in misura legale

da calcolarsi sull'importo capitale attualizzato di € 10.480,69, dal 28.7.2014 fino

al saldo effettivo;

condanna M.P. F. e Azienda Ospedaliera di *, in solido fra loro, a rifondere a M.

I. le spese processuali, liquidate in € 4700,00 per compensi (da maggiorarsi di

IVA e CPA) e in € 240,00 per esborsi; pone le spese di CTU, come già liquidate

in corso di causa, definitivamente a carico di M.P. F. e Azienda Ospedaliera di *,

in solido fra loro.

Sentenza esecutiva. Milano, (in decisione il) 28.7.2014.

                                                              





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